Devo la scoperta a una puntata di #PoliMIrisponde, il progetto divulgativo del Politecnico di Milano, che stavolta ha deciso di trattare una scoperta che io trovo a dir poco sensazionale: il numero zero sembra essere stato già in uso da un astronomo Maya.

Il numero zero, com’era rappresentato

Se costituisse un vero e proprio numero con capacità di essere utilizzato in calcoli complessi, non mi è ancora ben chiaro. Quello che è abbastanza evidente è che la semiotica lo vuole simbolo del vuoto, del nulla. Utilizzato da un astronomo Maya per rappresentare ciò che non c’è, il suo “zero” ha la forma di una chioccola vuota. L’astronomo faceva parte di un popolo precolombiano, vissuto tra il II e il VI secolo d.C., che aveva fatto propria l’antica civiltà degli Olmechi e aveva sviluppato un sistema numerico in base 20.

La paternità araba

La versione più conosciuta della nascita dello zero ne prevede una paternità dal mondo arabo. Qui lo zero veniva effettivamente utilizzato in calcoli complessi, e vede la sua forma più simile a quella attuale, di numero vero e proprio e non soltanto di concetto filosofico.

Lo spiega Giulio Magli, docente di archeoastronomia del Politecnico di Milano, sostenendo che oltreoceano, nel periodo tra il VI e il VII secolo d.C, anche i precolombiani “inventassero” lo zero, sebbene con finalità un po’ diverse.

O paternità indos?

Il professore sostiene anche che solo tra il VII e l’XI secolo venne introdotto il calcolo decimale come lo conosciamo oggi, che venne poi importato in Europa da Fibo. Ma ancora non è chiaro se la “soffiata” sia arrivata dagli indios, o se il sistema decimale sia stata, come finora abbiamo studiato, una creazione di questa parte dell’oceano.

Quel che è certo è che l’astromonomia Maya dimostra ancora una volta il suo straordinario grado di complessità.