Sono partito in questa mia disamina dalla Finta Giardiniera di Mozart.

Ebbene, perché ritengo che in questo caso il direttore alzi la bacchetta? E’ un’opera giovanile, e come tale risente delle due opposte tendenze: da un lato, di stupire il pubblico con uno stile personale e inimitabile, che consentirà all’artista di risultare riconoscibile anche in futuro. Dall’altro, di dimostrare che si sono assimilate le lezioni della tradizione, magari re-interpretandole ma non troppo, e in questa seconda ci metto anche i tecnicismi e virtuosismi che il furbissimo Mozart ha messo in campo.

Guardatemi

Il “guardate come sono bravo” connota senz’altro quest’opera, ricchissima di momenti di pura musica e di intermezzi virtuosi. Il giovane Mozart non era comunque esente da questi ammicchi alla tradizione, e senz’altro nemmeno a quelli rivolti ai suoi pari, i compositori, i soli che potevano capire gli arzigogoli del pentagramma che questo giovane genio metteva in atto. Certo, c’è da dire riguardo a quest’ultimo punto che all’epoca la fruizione della musica in quegli ambienti era molto diversa, ed era probabile che nelle corti e nei teatri quel tipo di musica fosse ben più conosciuta e “capita” di oggi. Anche in modo spontaneo e non consapevole, chiaramente.

Il virtuosismo che stona

Ma ecco che arrivo al mio punto, e spiego perché proprio La finta Guardiniera ha provocato in me quest’immagine dle direttore che alza la bacchetta. E’ un mistero oggi come ancora si possa andare al teatro d’opera. Il tono canzonatorio del virtuosismo combacia alla perfezione con le storie naif, ridicole e cortigianesche che accompagnano spesso la musica. Un certo understatement accompagna tutte le peripezie di questa giardiniera, con un tono che è già adulto, nonostante si parli di un compositore poco più che adolescente.

Ed ecco, proprio nel suo understatement, nella sua comprensione del pubblico dell’epoca, l’alzare la bacchetta del giovane Mozart: adesso questo intermezzo musicale “serio”, avrà detto, ve lo ascoltate, e state tranquilli.

E’ proprio l’intermezzo virtuoso, a mio parere, il segnale del direttore. Quel segnale che fa sì che la critica musicale, trecento anni dopo, ancora lo prenda in considerazione.