Testimoni dell’evoluzione dei territori e giudici dell’operato umano. Sono gli alberi monumentali, che per secoli ci hanno affiancati nel processo di costruzione delle città moderne e si sono ritrovati isolati a poco a poco in giungle di cemento. Senza nulla togliere all’urbanizzazione, processo fondamentale per la crescita della civiltà occidentale. Un processo di accentramento che sta diventando fondamentale anche nel resto del mondo, in cui si stanno affermando i servizi di urbanizzazione secondaria, come scuole, parchi, centri culturali, sportivi e medici. Il consumo del suolo è tuttavia da tenere in conto.

Nonostante tutto però, gli alberi monumentali sono ancora lì. In Italia sono circa 22 mila secondo le stime del Corpo Forestale dello Stato. Paiono numerosi, ma non sono altro che pochi superstiti dei boschi che ricoprivano la nostra patria nei secoli passati. Il loro giudizio sarà duro nei confronti dei nostri avi e forse anche verso di noi. Oggi però vedo una speranza, motivata da una maggiore consapevolezza della loro importanza simbolica e naturalistica.

Certo, la considerazione di cui godono non è paragonabile a quella delle sequoie nordamericane che forse ci vengono alla mente quando pensiamo ai padri della foresta. Vi invito però a prendere consapevolezza del loro posto nel mondo moderno. Sono presenti quasi in ogni città, a Milano mi viene in mente la Quercia Rossa di Piazza XXIV Maggio o anche il Faggio Rosso di Via Caradosso, ma il nostro territorio è pieno di questi testimoni del tempo passato.

Testimoni del processo di urbanizzazione e dell’evoluzione culturale: da idoli divini a simboli antropomorfi

Da sempre questi alberi sono richiamati al banco degli imputati da artisti e poeti, per testimoniare e raccontare il cambiamento del nostro mondo attraverso il loro esempio. Come anziani spettatori e allo stesso tempo come prove fisiche del passare del tempo.

Seneca riscoprendoli nel loro originario rifugio, all’interno dei boschi della nostra penisola, scriveva di «quel luogo cupo e segreto, e l’ammirazione di quell’ombre protese ti fanno fede dell’esistenza della divinità». Quasi fossero idoli, nella loro straordinaria incongruenza con la consuetudinaria crescita dei loro simili. Prove dell’esistenza del divino e loro simboli.

Oggi invece, estratti dai loro alvei, li possiamo vedere fusi nelle nostre città, come antichi monumenti naturali, che forse ci attirano perché ci identifichiamo nella loro solitudine e nella loro eccezionalità. L’uomo nelle metropoli è sempre più un singolo nella solitudine collettiva e conta spesso nelle sue sole forze per andare avanti. L’albero monumentale, un po’ antropomorfizzato, è fonte di identificazione per chi si sente unico e costretto allo stesso modo. Questi, come molti altri tratti più particolari, hanno guidato uomini e artisti nel magnificare questi giganti della natura, legandoli alla loro vita e a episodi storici illustri.

L’auspicio è che nei prossimi giorni e in tutti quelli seguenti, si continui a prestare cura verso questi nostri anziani compagni di viaggio e alla loro proliferazione, in modo da consentire anche alle generazioni future di presentarsi al loro cospetto e chiedere umilmente una testimonianza sincera del corso della storia.