Non si capisce cosa è stato il teatro borghese se non si legge Ibsen.

Ricordo ancora l’insegnante di lettere che accalorandosi spiega “Casa di bambola”, e non posso non dedicarci qualche riga anch’io.

Mi si perdoni se l’ho letta in traduzione italiana e se non la vedo rappresentata da anni, ma confido nella capacità critica che tutti abbiamo, e nei diversi articoli di critica letteraria e drammaturgica che ho accumulato negli anni.

Di cosa parla davvero Casa di bambola?

“Casa di bambola” di Henrik Ibsen è stata rappresentata per la prima volta nel 1879. Ne ho risentito parlare di recente perché en passant parla di genere e identità – anche se superficialmente sembra che parli soprattutto di matrimonio. Attraverso la storia di Nora Helmer, Ibsen esplora la ricerca di autonomia e la lotta contro le convenzioni sociali che confinano le donne in ruoli prestabiliti, spingendo il pubblico a riflettere sulle dinamiche di potere all’interno delle relazioni familiari e sociali.

La trama si svolge nell’arco di tre giorni nella casa dei Helmer, dove Nora appare inizialmente come una moglie felice e spensierata, devota al marito Torvald e ai loro figli. Tuttavia, man mano che la storia si dipana, emerge il fatto che anni prima, per salvare la vita del marito malato, Nora ha commesso una frode, firmando illegalmente il nome di suo padre su una cambiale per ottenere un prestito, convincendo se stessa che il fine giustificasse i mezzi.

Il conflitto centrale emerge quando Nils Krogstad, l’uomo che ha concesso il prestito a Nora, minaccia di rivelare il suo segreto a meno che non convinca Torvald a mantenerlo in banca, dove lavora. La tensione sale quando Torvald, scoperto il segreto di Nora, reagisce con disprezzo e rabbia. La reputazione potenzialmente persa travalica l’affetto: quindi, questa rivelazione diventa il catalizzatore per la metamorfosi di Nora, che inizia a vedere la sua vita domestica e il suo matrimonio sotto una nuova luce.

La bambola che esce dalla casa

Come nel recentissimo film di Barbie, anche qui l’emancipazione di Nora passa dall’uscita dalla sua casa di bambola. La decisione finale della donna di lasciare il marito e i figli in cerca della propria indipendenza è stata considerata scandalosa all’epoca della sua prima rappresentazione, tanto che Ibsen fu costretto a scrivere un finale alternativo per la versione tedesca della pièce, in cui Nora decide di rimanere. Ma noi ci teniamo – e preferiamo – la conclusione originale.

Un drammaturgo d’eccezione

“Casa di bambola” non solo sfida le convenzioni del dramma borghese del tempo, ma pone anche le basi per il moderno teatro realista, influenzando generazioni di drammaturghi.

Parliamo non solo di un testo fondamentale, come giustamente gli insegnanti di Lettere ribadiscono, ma anche un caposaldo della rappresentazione, senza il quale ci sogneremmo tutte le avanguardie novecentesche successive.