Dopo aver visto “Cristo si è fermato a Eboli” mi è sorta una inevitabile riflessione sulla nostra concezione della campagna, che ho iniziato toccando en passant l’argomento delle Georgiche.

Non vorrei risultare troppo sentenzioso, ma credo che il valore che attribuiamo alla vita di campagna si sia inevitabilmente modificato nel tempo. 

Immaginari diversi per un’unica campagna

Possiamo sintetizzare tre diversi immaginari da cui attingere per spiegare il nostro rapporto ideologico con la campagna. Il primo è quello di Francesco Rosi, che prevede un mondo contadino ingenuo, severo, arido e arroccato nelle proprie convinzioni a volte superstiziose, ma in fondo improntate al buon selvaggio alla Rousseau. 

Un altro modo di vedere la campagna è quello che ci hanno insegnato i libri di scuola – e mi sento di dire quello più vicino a una visione realistica e basata su dati concreti – ma ne parlerò meglio in un articolo successivo. Infine abbiamo l’inevitabile visione georgica, di campagna come redenzione dalla peccaminosa e molle vita cittadina, ma anche come fatica e soprattutto come presenza.

Rosi e la sua campagna 

La visione di Francesco Rosi che emerge chiaramente nella sua rielaborazione del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi è diversa dalle due citate prima. Evidentemente, e questo posso dirlo pacificamente, c’è una buona dose di romanticizzazione del mondo contadino. 

Certo, i personaggi dei contadini nello sceneggiato di Rosi rispetto a Gian Maria Volonté e alla sua ciclopica presenza scenica ed eleganza innata sono sporchi, sdentati, rozzi e superstiziosi. Il loro eloquio rispetta filologicamente quella che sarebbe stata la parlata di Eboli, almeno a quanto posso capirne io – e in ogni caso è nettamente contraddistinto da quello di Volonté.

Inoltre i contadini attuano rituali religiosi molto legati alla superstizione e a credenze apotropaiche, viste con un certo distacco e una metaforica alzata di spalle dal nostro dottore torinese protagonista. Però come dimostra il dialogo finale con la sorella di Levi, ma anche il dibattito con gli amici politicizzati, la visione di Rosi è decisamente redentiva. 

O meglio, lo è la visione che Rosi mette in bocca al dottore, che nonostante appartenga a una completamente diversa classe sociale riesce a scorgere una comunanza tra la propria Weltanschauung e quella contadina.

Sarà una visione legittima o una facile romanticheria? Cercherò di rispondere parlando di un secondo modello di campagna, quello virgiliano.