Ne ho già scritto in passato e non voglio fregiarmi del titolo di advisor. Avrei consigliato a un giovane lavoratore della mia generazione di cercare di laurearsi in un campo per lui appassionante. Di spendere tutte le proprie energie per la formazione, anche se prettamente “culturale”, “umanistica”, insomma tutti quegli aggettivi che designano il non-tecnico.

So bene che la condizione oggi è diversa, ma non credo nemmeno così radicalmente.

Penso che la questione della ultra-competenza dei laureati italiani evidenziata dal rapporto Ocse di questi giorni sia un pensiero quantomeno diffuso. Tra tutti quelli che come me sono nel mondo del lavoro da qualche anno in più dei giovani laureati, ma anche tra i giovani laureati in questione.

Ma la questione come immortalata dalla statistica è differente:

I laureati sono meno che negli altri Paesi, e quelli che hanno titolo di studio e competenze sufficientemente sviluppate tendono ad essere sfruttati.

Più che di ultra-competenze si dovrebbe quindi parlare di situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una debole domanda da parte delle imprese. Oltre a questo, i salari sembrano mediamente più legati all’età che alle skills.

Il mondo che conoscevo è troppo cambiato perché io possa fare l’advisor. Consiglierei spontaneamente di nuovo l’approfondimento culturale. Ma riconosco che la mia possa sembrare una scelta anacronistica, e che l’ultracompetenza tecnica sia comunque un’alternativa più facilmente percorribile dell’inattività della persona colta ma non competitiva sul mercato del lavoro.

Servirebbe quel ribaltamento filosofico per il quale la competenza culturale può diventare abbinata alla competenza tecnica, in un curriculum universitario. Studiare Foucault non è necessariamente distinto da un normale training finanziario, leggere Dante non necessariamente incompatibile con la formazione informatica.

Sono esempi, e mi rendo conto di come siano percepiti. Spaventosamente anacronistici. Non farò il nostalgico, mi limito a constatare una differenza, che ancora deve prendere forma, ma c’è e non può non essere fronteggiata.