La Tunnelbana di Stoccolma rappresenta a mio parere uno di più compiuti esempi di integrazione

Andiamo con ordine. La metropolitana è il non-luogo per eccellenza secondo Augé, perché visitata da milioni di individui come un tramite verso “altro” (il lavoro, la casa, un altro luogo, l’esterno…). Non c’è possibilità di personalizzare e curarsi di un luogo simile, se non nella misura di tenerlo pulito utilizzando gli appositi cestini. Credo che sia per questo che sono considerati molti affascinanti, dal sottoscritto almeno, gli artisti di strada in metropolitana: l’ossimoro tra funzionalismo del luogo, contro l’investimento “a perdere” di tempo del musicista.

L’investimento avviene in realtà in nome della performance musicale. Nel caso del graffito particolarmente riuscito, l’estetica artistica. Poi, la percezione di spontaneità è sempre molto apprezzata. All’estremo sta il godimento estetico per un edificio architettonicamente imponente, progettato nei minimi dettagli, o per una parata militare… Potrebbe esserci anche questo contrasto, chi lo sa.

Comunque, nella metropolitana di Stoccolma è stato fatto un investimento soprattutto culturale

Che a differenza di altre stazioni della metropolitana in giro per l’Europa non è fatto a posteriori, nell’ottica di rivalutazione di un ambiente. No, a Stoccolma le stazioni sono proprio state concepite come atte ad ospitare opere di grandi artisti.

Parlo di operazione culturale perché il progetto è stato proposto da Vera Nilsson e Siri Derkert al Consiglio cittadino negli anni ’70 seguendo il paradigma dell’arte come un diritto. Noi italiani potremmo vederla come un’arte che viene elargita anche a chi non frequenterebbe mai un museo (viene infatti definita da qualcuno la “galleria d’arte più lunga al mondo”).

Quindi, Kungstradgarden è un sito archeologico vero e proprio. Fridhemsplan è un tributo in azulejos, le tipiche piastrelle dell’arte islamica interiorizzate dai portoghesi. Queste, da parte dell’artista omotopo Dimas Macedo, donate dal museo di Lisbona.

Poi ci sono quelle, meravigliose, ispirate all’architettura organica, che lasciano la nuda roccia a vista. Colorata, certo, e con motivi floreali o ispirati a elementi naturali. Ad esempio, quella che sembra una colata lavica. Sono solitamente risalenti agli anni ’70, quando il progetto fu concepito.