Lo sguardo della ninfa, estatico e con una punta di eros scanzonato. Guarda in alto, mentre un cinabro si avvolge intorno ai suoi larghi fianchi classici.

La Galatea di Raffaello

Così dovette apparire a Baldassarre Castiglione la Galatea di Raffaello, quando la vide per la prima volta a palazzo Farnesina a Roma. Scolpita nella sua memoria, la Galatea gli fece scrivere una lettera accorata all’amico pittore, complimentandosi con lui per l’avvenuto miracolo.

Raffaello si prese il tempo per rispondere adeguatamente: nell’opera, effettivamente, c’era una ricerca senza precedenti. E citava Vitruvio, De architectura.

Il De architectura di Vitruvio

Scorriamo a ritroso tra i meandri del tempo, e torniamo al buon vecchio Vitruvio: in alcune pagine del De architectura troviamo una descrizione dettagliata del procedimento per ricreare un particolare blu, il caeruleum. Nulla di troppo interessante, se non fosse che non riscontriamo tale blu in nessuna delle opere contemporanee al Raffaello.

Dunque si evince che il pittore fece una solida ricerca, prima di dipingere, con l’intento di dare al quadro una tonalità inedita. In linea con lo spirito filologico del tempo, la Galatea rappresenta quindi a tutti gli effetti un recupero.

Il pigmento era largamente utilizzato dagli egizi, anche se noi lo conosciamo per la mediazione romana. Poi, durante l’epoca medievale, gli si preferì il lapislazzuli, e il ceruleo venne dimenticato.

Il blu egizio, la ricerca sulla Galatea

Spetta al professor Antonio Sgamellotti l’aver scoperto il blu egizio, tramite una ricerca sui materiali compiuta sull’affresco di Galatea, ma anche sul cielo della loggia della Farnesina.

I risultati, a quanto pare, hanno colpito il Castiglione, che rimase stregato dagli occhi della splendida ninfa.

La passione per l’antichità dell’artista urbinate stava quindi emergendo. Anche uno dei pigmenti del cinabro di Galatea è antico, e largamente utilizzato al tempo di Raffaello.

La mostra sarà aperta dal 6 ottobre al 6 gennaio a Villa Farnesina a Roma.