Forse non così conosciuto dal pubblico italiano, il “wall of sound” o muro del suono è in realtà un concetto musicale molto diffuso nella produzione e nella discografia.

Ma da dove nasce? Cosa significa? Qualcuno se l’è inventato per primo e ha avuto l’idea di teorizzarlo?

Un fatto di cronaca è all’inizio di questa trattazione, che non ambisce a essere un trattatello di musica, ma solo un piccolo tributo a uno dei grandi della discografia mondiale, oggi scomparso.

Addio a Phil Spector

Ogni ambito artistico ha le sue certezze. Chi inizia a rastrellare un giardino giapponese, sa che ci metterà del tempo. Chi si avvicina alla musica rock, sa che molto spesso incontrerà dei musicisti dalla moralità quantomeno discutibile.

È un dato di fatto, che da ragazzo cercavo di confutare ammantando le mie predilezioni musicali anche di una forma di battaglia sociologico/politica.

Phil Spector, geniale produttore musicale newyorchese e musicista, è morto oggi per complicanze da Covid. Era in carcere per omicidio.

Ma se wildianamente consideriamo il concetto dell’Ars gratia artis, dimentichiamo per un attimo l’umano giudizio e lasciamo Spector a fare i conti con se stesso. Noi vogliamo vedere il suo erede, il muro del suono.

Cos’è il muro del suono

Dicesi “muro del suono” quel tappeto musicale creato in studio di registrazione da una serie di strumenti tipicamente orchestrali, ad esempio gli archi.

La tecnica del wall of sound di Spector fu applicata con successo su Bruce Springsteen , Tina Turner, John Lennon, Leonard Cohen e i Ramones.

In sostanza, ciò che può accomunare questi artisti è una sorta di vibrazione continua di sonorità, sulla quale vengono modulati gli strumenti solisti, ma anche la voce.

Una tecnica così strana per chi ama artisti di musica leggera come Adele, o Ed Sheeran. Eppure, così nota nell’opera e al festival della canzone italiana di Sanremo.

Non c’è molto altro da dire, perché la tecnica del muro del suono è piuttosto intuitiva.

Come tutte le idee geniali.